giovedì 19 giugno 2014

InfinitaMente


La Regione Marche getta lo “sguardo oltre la siepe” chiedendo al ministero per i Beni culturali per evitare che il terzo manoscritto dell’Infinito di Leopardi cada in mano ai privati.
La speranza è che alla fine il documento non venga sottratto alla comunità, perché nell’immensità della Kultura s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Ritrovato da Luca Pernici, direttore degli Istituti culturali del Comune di Cingoli, Macerata in una collezione privata dell’archivio dei Conti Servanzi Collio di San Severino Marche, il manoscritto inedito di Infinito.
Un bene troppo prezioso, sottolinea l’assessore regionale alla cultura Pietro Marcolini, per finire nelle mani di privati. Invece, se le cose resteranno così, il documento andrà all’asta il prossimo 26 giugno, prezzo base: 150 mila euro.
“I documenti di Leopardi sono i più costosi in termini commerciali – spiega il manager della Minerva Auctions Massimo Bertolo – perché la domanda è altissima. Una lettera del poeta al fratello Carlo sui Sepolcri del Tasso è stata battuta per 42 mila euro”.
Il documento è stato presentato pubblicamente all’Università di Macerata.
È il terzo manoscritto di Infinito ad essere ritrovato ed appare come una copia esatta del primo.
Talmente precisa da aver sollevato più di un sospetto, compresi quelli di Laura Melosi, docente della cattedra Leopardi presso l’Università di Macerata. “I dubbi sono stati sciolti con la misurazione delle dimensioni dei caratteri – spiega Melosi – che ha escluso la possibilità del ricalco, e un accurato esame delle caratteristiche fisiche del supporto cartaceo, corrispondenti a quelle in uso nella prima metà dell’Ottocento”. Gli altri due autografi – ovvero documenti interamente scritti dall’autore – sono conservati a Napoli e a Visso.
Ad analizzare il documento è stato Marcello Andria, tra i massimi esperti degli autografi leopardiani nonché conservatore delle Carte Leopardi presso la Biblioteca nazionale di Napoli. Secondo la professoressa Melosi l’autografo era stato allegato a una raccomandazione, quella per carriera militare di uno dei nipoti di Leopardi, Luigi. Destinatario il priore comunale di Santa Vittoria. Sul retro dell’autografo, realizzato probabilmente tra il 1821 e il 1822, sono stati ritrovati anche un piccolo quadrato verde sbiadito – bollo prefilatelico di Montefalcone Appenino – e la nota di assunzione al protocollo.
Le storie dei documenti leopardiani sono sempre ricche di curiosità, quella dl secondo manoscritto autografo, denominato di Visso, è stata raccontata dal Sindaco Alessandro Lucerna, classe 1933: “Arrivarono via Bologna. E va dato merito al mio predecessore di un secolo fa, il sindaco Giovan Battista Gàola-Antinori, che acquistò i manoscritti di sua tasca, per una cifra allora enorme (400 lire) da Prospero Viani, preside del liceo Galvani di Bologna. Viani fu un accanito raccoglitore delle opere leopardiane provenienti dagli amici del poeta tra i quali l’avvocato Pietro Brighenti, proprietario di una tipografia nel capoluogo emiliano, La Stamperia delle Muse, che nel 1826 pubblicò il gruppo di manoscritti destinati all’archivio comunale di Visso. Nel 1868, trovandosi in difficoltà economiche, Viani fu costretto suo malgrado a disfarsi di una parte della sua raccolta: e cioè i sei Idilli (L’Infinito, La Sera del giorno festivo, La Ricordanza o Alla Luna, Il Sogno, Lo Spavento notturno, La Vita Solitaria), i cinque Sonetti in persona di Ser Pecora fiorentino Beccaio; l’Epistola al conte Carlo Pepoli; la prefazione alla seconda edizione del Commento alle rime del Petrarca e 14 lettere indirizzate all’editore milanese Stella.
Per la vendita, Viani si rivolse al suo amico deputato al Parlamento, l’avvocato Filippo Mariotti. Costui, legato da stima e amicizia con il sindaco di Visso (anche lui deputato) Gàola-Antinori, gli propose l’acquisto dei manoscritti e l’affare fu concluso: 400 lire, con tanto di regolare ricevuta. Il 24 marzo 1869 una lettera di Mariotti accompagna le preziose carte al sindaco di Visso: «Caro amico, ecco i manoscritti leopardiani che Visso conserverà per suo ornamento e per gloria d’Italia».

 
Nei 15 endecasillabi, una sola incertezza del poeta: nelle ultime righe, laddove recita: “Così tra questa / immensità s’annega il pensier mio: / e il naufragar m’è dolce in questo mare”, la mano esitante di Giacomo cancella il termine “immensità” e lo sostituisce con “infinità”.

L’infinito
«Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.»