La Regione Marche getta lo
“sguardo oltre la siepe” chiedendo al ministero per i Beni culturali per
evitare che il terzo manoscritto dell’Infinito di Leopardi cada in mano ai
privati.
La speranza è che alla fine il
documento non venga sottratto alla comunità, perché nell’immensità della
Kultura s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Ritrovato da Luca Pernici,
direttore degli Istituti culturali del Comune di Cingoli, Macerata in una
collezione privata dell’archivio dei Conti Servanzi Collio di San Severino
Marche, il manoscritto inedito di Infinito.
Un bene troppo prezioso,
sottolinea l’assessore regionale alla cultura Pietro Marcolini, per finire
nelle mani di privati. Invece, se le cose resteranno così, il documento andrà
all’asta il prossimo 26 giugno, prezzo base: 150 mila euro.
“I documenti di Leopardi sono i
più costosi in termini commerciali – spiega il manager della Minerva Auctions
Massimo Bertolo – perché la domanda è altissima. Una lettera del poeta al fratello
Carlo sui Sepolcri del Tasso è stata battuta per 42 mila euro”.
Il documento è stato presentato
pubblicamente all’Università di Macerata.
È il terzo manoscritto di Infinito
ad essere ritrovato ed appare come una copia esatta del primo.
Talmente precisa da aver
sollevato più di un sospetto, compresi quelli di Laura Melosi, docente della
cattedra Leopardi presso l’Università di Macerata. “I dubbi sono stati sciolti
con la misurazione delle dimensioni dei caratteri – spiega Melosi – che ha
escluso la possibilità del ricalco, e un accurato esame delle caratteristiche
fisiche del supporto cartaceo, corrispondenti a quelle in uso nella prima metà
dell’Ottocento”. Gli altri due autografi – ovvero documenti interamente scritti
dall’autore – sono conservati a Napoli e a Visso.
Ad analizzare il documento è
stato Marcello Andria, tra i massimi esperti degli autografi leopardiani nonché
conservatore delle Carte Leopardi presso la Biblioteca nazionale di Napoli.
Secondo la professoressa Melosi l’autografo era stato allegato a una
raccomandazione, quella per carriera militare di uno dei nipoti di Leopardi,
Luigi. Destinatario il priore comunale di Santa Vittoria. Sul retro
dell’autografo, realizzato probabilmente tra il 1821 e il 1822, sono stati
ritrovati anche un piccolo quadrato verde sbiadito – bollo prefilatelico di
Montefalcone Appenino – e la nota di assunzione al protocollo.
Le storie dei documenti
leopardiani sono sempre ricche di curiosità, quella dl secondo manoscritto
autografo, denominato di Visso, è stata raccontata dal Sindaco Alessandro
Lucerna, classe 1933: “Arrivarono via Bologna. E va dato merito al
mio predecessore di un secolo fa, il sindaco Giovan Battista Gàola-Antinori,
che acquistò i manoscritti di sua tasca, per una cifra allora enorme (400 lire)
da Prospero Viani, preside del liceo Galvani di Bologna. Viani fu un accanito
raccoglitore delle opere leopardiane provenienti dagli amici del poeta tra i
quali l’avvocato Pietro Brighenti, proprietario di una tipografia nel capoluogo
emiliano, La Stamperia delle Muse, che nel 1826 pubblicò il gruppo di
manoscritti destinati all’archivio comunale di Visso. Nel 1868, trovandosi in
difficoltà economiche, Viani fu costretto suo malgrado a disfarsi di una parte
della sua raccolta: e cioè i sei Idilli (L’Infinito, La Sera del giorno
festivo, La Ricordanza o Alla Luna, Il Sogno, Lo Spavento notturno, La Vita
Solitaria), i cinque Sonetti in persona di Ser Pecora fiorentino
Beccaio; l’Epistola al conte Carlo Pepoli; la prefazione alla
seconda edizione del Commento alle rime del Petrarca e 14 lettere
indirizzate all’editore milanese Stella.
Per la vendita, Viani si
rivolse al suo amico deputato al Parlamento, l’avvocato Filippo Mariotti.
Costui, legato da stima e amicizia con il sindaco di Visso (anche lui deputato)
Gàola-Antinori, gli propose l’acquisto dei manoscritti e l’affare fu concluso:
400 lire, con tanto di regolare ricevuta. Il 24 marzo 1869 una lettera di
Mariotti accompagna le preziose carte al sindaco di Visso: «Caro amico,
ecco i manoscritti leopardiani che Visso conserverà per suo ornamento e per
gloria d’Italia»”.
Nei 15 endecasillabi, una sola
incertezza del poeta: nelle ultime righe, laddove recita: “Così tra questa
/ immensità s’annega il pensier mio: / e il naufragar m’è dolce in questo mare”,
la mano esitante di Giacomo cancella il termine “immensità” e lo
sostituisce con “infinità”.
L’infinito
«Sempre caro mi fu
quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta
parte
dell’ultimo orizzonte il
guardo esclude.
Ma sedendo e mirando,
interminati
spazi di là da quella, e
sovrumani
silenzi, e profondissima
quiete
io nel pensier mi fingo, ove
per poco
il cor non si spaura. E come
il vento
odo stormir tra queste piante,
io quello
infinito silenzio a questa
voce
vo comparando: e mi sovvien
l’eterno,
e le morte stagioni, e la
presente
e viva, e il suon di lei. Così
tra questa
immensità s’annega il pensier
mio:
e il naufragar m’è dolce in
questo mare.»