giovedì 31 ottobre 2013

InstabilMente


La Sicilia vive il dramma “Lampedusa”, riproposizione giornaliera di immagini, scatti, scene che nessuno vorrebbe mai vedere e che si ripresentano giornalmente insieme al “pane quotidiano”.




Fino al 19 gennaio 2014, il Centro di Cultura Contemporanea Strozzina di Firenze ospita la mostra:

“Territori Instabili. Confini e identità nell’arte contemporanea”.





Nell’esposizione, a cura di Walter Guadagnini e Franziska Nori, il percorso di riflessione (fotografie, video e installazioni) si snoda attraverso le opere di dieci artisti internazionali, che si confrontano e propongono la loro idea di territorio nel mondo contemporaneo.
Il viaggio è caratterizzato dal superamento di concetti come nazione o confine , per cui il territorio non è visto soltanto come spazio geografico, ma assume rilievo anche dal punto di vista psicologico e sociale.
Il viandante visita i luoghi che l’artista, anch’esso nomade, ha reinterpretato, emerge il complesso rapporto tra il Nord e il Sud del mondo, tra ricchezza e povertà, si affronta il tema della transnazionalità e del cosmopolitismo descrivendo Oriente e Occidente, confronto tra due Mondi Kulturali.
Il pellegrino assiste a performance, attraversa specchi infranti, il suo viaggio non è solo fisico, ma è soprattutto simbolico.
Cos’è il territorio contemporaneo?
Viviamo un’epoca in cui i flussi migratori, mercificazione di schiavitù, hanno radicalmente trasformato la visione estetico – percettiva del territorio, demolendo i muri e i limiti che definivano i confini fisici, abbattendo la nozione di tempo e spazio, ma al contempo erigendo barriere mentali atte a confinare la Kultura a ruolo di comprimaria di un territorio sconfinato.
 


«Artisti come Sigalit Landau (Israele, 1969) e Paulo Nazareth (Brasile, 1977) pongono al centro della loro ricerca il proprio corpo e la sua relazione con territori, confini e limiti. Protagonista di lunghi viaggi a piedi in luoghi diversi del mondo, dal Brasile agli Stati Uniti fino all’India, le eterogenee opere di Nazareth testimoniano una riflessione sulla sua figura di artista nomade, che gioca e scopre la sua identità multietnica tramite azioni performative, fraintendimenti linguistici e paradossali incontri con persone e spazi diversi. Nei video DeadSee e Barbed Hula, Sigalit Landau propone invece due azioni performative che riflettono sul tema del confine fisico e simbolico e sulla contrapposizione tra vita e morte, conquista e perdita dell’identità: da una parte la creazione di una suggestiva spirale costituita dal proprio corpo e innumerevoli angurie che galleggiano sul Mar Morto, dall’altra un hula hoop a corpo nudo con un filo spinato su una spiaggia di Tel Aviv.





Nato e cresciuto in Francia ma con origini algerine, Kader Attia (Francia, 1970) esplora contraddizioni e complessità del rapporto tra Oriente e Occidente, Nord e Sud del mondo, in una ricerca pluriennale fatta di opere che permettono una riflessione sull’idea di riappropriazione culturale e identitaria. Per la mostra, Attia presenta una nuova grande installazione in cui i visitatori saranno chiamati a muoversi in percorsi costretti e popolati di frammenti di specchi infranti e ricuciti, riflettendo sul rapporto tra spazio esterno e identità, territori fisici e psicologici.





In occasione della mostra, Tadashi Kawamata (Giappone, 1953) realizza una installazione site specific articolata in più punti di Palazzo Strozzi, esaltando la sua tipica riflessione sulla contrapposizione/compenetrazione di luoghi e architetture diverse. Simili a nidi di uccelli ma anche a piccole abitazioni di fortuna, alcune costruzioni effimere in legno (le cosiddette Tree Huts, “Capanne sugli alberi”) creeranno un innesto “abusivo” nella solida e potente struttura rinascimentale del Palazzo, creando un forte contrasto tra materiali transitori e strutture permanenti, architettura storica e installazione temporanea.




Affrontando un tema di grande attualità per l’Italia, la mostra presenta il video The Right of Passage di Oliver Ressler (Austria, 1970) e Zanny Begg (Australia, 1972) che affrontano il tema dei diritti di cittadinanza e dell’identità nazionale, soffermandosi sullo strumento giuridico principale del movimento e della permanenza in un territorio: il passaporto. Interviste a persone comuni e a teorici della migrazione si succedono a sequenze animate, conducendo a una riflessione sulla difficoltà o l’impossibilità di ottenere diritti politici elementari che determinano la vita di ciascun individuo in una società.




Facendo emergere le contraddizioni della globalizzazione finanziaria, basata sul superamento (o aggiramento) del concetto di nazione a livello giuridico ed economico, Paolo Cirio (Italia, 1979) presenta il progetto Loophole for all (“Scorciatoia per tutti”) che unisce hacking digitale e azione artistica. Giocando sulle “scorciatoie” fiscali legalmente riconosciute dalla legislazione delle Isole Cayman, Cirio ha creato una piattaforma online in cui mettere in vendita, al costo di soli 99 centesimi, certificati di partecipazione a reali società registrate in questo celebre paradiso fiscale, con un obiettivo: rendere l’evasione fiscale legale e possibile a tutti, non solo a celebri hedge fund o imprese multinazionali.




Adam Broomberg e Oliver Chanarin (Sud Africa, 1970; Regno Unito, 1971) presentano un nuovo sviluppo del progetto Chicago, un’installazione video e fotografica di un non-luogo, un territorio reale e irreale allo stesso tempo come la finta cittadina araba Chicago, costruita nel deserto di Negev in Palestina dall’esercito israeliano per poter creare simulazioni ed esercitazioni di azioni di guerra e di controllo della popolazione araba.
Sulla scia di una riflessione sullo statuto della fotografia come documento di territori contraddittori, si pongono anche le opere in mostra di Jo Ractliffe (Sud Africa, 1961) e The Cool Couple (Niccolò Benetton e Simone Santilli, Italia, 1986 e 1987). Il duo italiano presenta una nuova produzione che ha per soggetto un territorio di confine come la Carnia in Friuli Venezia Giulia ed evento storico poco noto e dimenticato da molti: la storia della presenza forzata della comunità cosacca nel 1944-45. Fotografie odierne del paesaggio e materiali d’archivio permetteranno un cortocircuito nella riflessione sulla sovrapposizione di tradizioni, lingue, costumi e sulle tracce e le censure di questa contaminazione. Nella serie fotografica in bianco e nero As Terras do Fim do Mundo, Ractliffe propone invece una silenziosa e poetica ricognizione sui luoghi che sono stati teatro della sanguinosa guerra civile in Angola, durante la quale le lacerazioni nazionali si unirono a logiche sovranazionali della guerra fredda, che portarono allo scontro tra l’esercito sudafricano e i soldati delle Forze Armate Rivoluzionarie inviate da Cuba.

  
Altra riflessione sul ruolo dell’immagine nel rapporto con un territorio segnato dalla guerra è quella di Richard Mosse (Irlanda, 1980) che propone la videoinstallazione a sei canali The Enclave, risultato del suo lungo lavoro nel Congo orientale e recentemente presentata nel Padiglione irlandese della Biennale di Venezia. In un’atmosfera di grande impatto, Mosse permette ai visitatori di porsi davanti a paesaggi di straordinaria e straniante bellezza ma segnati duramente dalla guerra civile che in oltre vent’anni ha causato più di cinque milioni di morti. Tramite una particolare pellicola sviluppata a scopi militari negli anni ’40, il colore verde di foreste e prati si trasforma in un rosa acceso. Soldati e devastazioni diventano fluorescenti e stranianti elementi che insieme a una forte componente sonora coinvolgono il visitatore in una forte esperienza emotiva.

 


Il catalogo bilingue (italiano/inglese), che accompagna la mostra, è pubblicato da Mandragora e contiene i testi critici dei curatori Walter Guadagnini (curatore indipendente) e Franziska Nori (direttore CCC Strozzina) affiancati dai contributi di Ulrich Beck (Università di Monaco di Baviera e London School of Economics) e Francesco Careri (Università di Roma)».


Aggiungerei la rappresentazione, FuturisticaMente reale, espressa in poesia ne Il vecchio e il bambino:

E il vecchio diceva, guardando lontano:
“Immagina questo coperto di grano,
immagina i frutti e immagina i fiori
e pensa alle voci e pensa ai colori

e in questa pianura, fin dove si perde,
crescevano gli alberi e tutto era verde,
cadeva la pioggia, segnavano i soli
il ritmo dell’uomo e delle stagioni...”

Questa sOCIETA’ quale futuro riserverà ai propri Figli...

Il bimbo ristette, lo sguardo era triste,
e gli occhi guardavano cose mai viste
e poi disse al vecchio con voce sognante:
“Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!”





Il territorio del mondo contemporaneo, rappresenterà la fine... della Favola?



TERRITORI INSTABILI. Confini e identità nell’arte contemporanea
Fino al 19 gennaio 2014
Centro di Cultura Contemporanea Strozzina
Palazzo Strozzi, Firenze

Artisti: Kader Attia, Zanny Begg & Oliver Ressler, Adam Broomberg & Oliver Chanarin, Paolo Cirio, The Cool Couple, Tadashi Kawamata, Sigalit Landau, Richard Mosse, Paulo Nazareth, Jo Ractliffe


La mostra è organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi.
Informazioni: T. 055 2645155 / news@strozzina.org