La
Sicilia vive il dramma “Lampedusa”, riproposizione giornaliera di immagini,
scatti, scene che nessuno vorrebbe mai vedere e che si ripresentano
giornalmente insieme al “pane quotidiano”.
Fino al 19 gennaio 2014, il Centro di Cultura Contemporanea
Strozzina di Firenze ospita la mostra:
“Territori Instabili. Confini e identità nell’arte
contemporanea”.
Nell’esposizione, a cura di Walter Guadagnini e
Franziska Nori, il percorso di riflessione (fotografie, video e
installazioni) si snoda attraverso le opere di dieci artisti internazionali,
che si confrontano e propongono la loro idea di territorio nel mondo
contemporaneo.
Il viaggio è caratterizzato dal superamento
di concetti come nazione o confine , per cui il territorio non è visto
soltanto come spazio geografico, ma assume rilievo anche dal punto di vista
psicologico e sociale.
Il viandante visita i luoghi che l’artista,
anch’esso nomade, ha reinterpretato, emerge il complesso rapporto tra il Nord e
il Sud del mondo, tra ricchezza e povertà, si affronta il tema della
transnazionalità e del cosmopolitismo descrivendo Oriente e Occidente,
confronto tra due Mondi Kulturali.
Il pellegrino assiste a performance,
attraversa specchi infranti, il suo viaggio non è solo fisico, ma è soprattutto
simbolico.
Cos’è il territorio contemporaneo?
Viviamo un’epoca in cui i
flussi migratori, mercificazione di schiavitù, hanno radicalmente trasformato
la visione estetico – percettiva del territorio, demolendo i muri e i limiti
che definivano i confini fisici, abbattendo la nozione di tempo e spazio, ma al
contempo erigendo barriere mentali atte a confinare la Kultura a ruolo di
comprimaria di un territorio sconfinato.
«Artisti come Sigalit Landau
(Israele, 1969) e Paulo Nazareth (Brasile, 1977) pongono al
centro della loro ricerca il proprio corpo e la sua relazione con territori,
confini e limiti. Protagonista di lunghi viaggi a piedi in luoghi diversi del
mondo, dal Brasile agli Stati Uniti fino all’India, le eterogenee opere di
Nazareth testimoniano una riflessione sulla sua figura di artista nomade, che
gioca e scopre la sua identità multietnica tramite azioni performative,
fraintendimenti linguistici e paradossali incontri con persone e spazi diversi.
Nei video DeadSee e Barbed Hula, Sigalit Landau propone
invece due azioni performative che riflettono sul tema del confine fisico e
simbolico e sulla contrapposizione tra vita e morte, conquista e perdita
dell’identità: da una parte la creazione di una suggestiva spirale costituita
dal proprio corpo e innumerevoli angurie che galleggiano sul Mar Morto,
dall’altra un hula hoop a corpo nudo con un filo spinato su una spiaggia di Tel
Aviv.
Nato e cresciuto in Francia ma con origini
algerine, Kader Attia (Francia, 1970) esplora contraddizioni e
complessità del rapporto tra Oriente e Occidente, Nord e Sud del mondo, in una
ricerca pluriennale fatta di opere che permettono una riflessione sull’idea di
riappropriazione culturale e identitaria. Per la mostra, Attia presenta una
nuova grande installazione in cui i visitatori saranno chiamati a muoversi in
percorsi costretti e popolati di frammenti di specchi infranti e ricuciti,
riflettendo sul rapporto tra spazio esterno e identità, territori fisici e
psicologici.
In occasione della mostra, Tadashi
Kawamata (Giappone, 1953) realizza una installazione site specific
articolata in più punti di Palazzo Strozzi, esaltando la sua tipica riflessione
sulla contrapposizione/compenetrazione di luoghi e architetture diverse. Simili
a nidi di uccelli ma anche a piccole abitazioni di fortuna, alcune costruzioni
effimere in legno (le cosiddette Tree Huts, “Capanne sugli alberi”)
creeranno un innesto “abusivo” nella solida e potente struttura rinascimentale
del Palazzo, creando un forte contrasto tra materiali transitori e strutture
permanenti, architettura storica e installazione temporanea.
Affrontando un tema di grande attualità per
l’Italia, la mostra presenta il video The Right of Passage di Oliver
Ressler (Austria, 1970) e Zanny Begg (Australia,
1972) che affrontano il tema dei diritti di cittadinanza e dell’identità
nazionale, soffermandosi sullo strumento giuridico principale del movimento e
della permanenza in un territorio: il passaporto. Interviste a persone comuni e
a teorici della migrazione si succedono a sequenze animate, conducendo a una riflessione
sulla difficoltà o l’impossibilità di ottenere diritti politici elementari che
determinano la vita di ciascun individuo in una società.
Facendo emergere le contraddizioni della
globalizzazione finanziaria, basata sul superamento (o aggiramento) del
concetto di nazione a livello giuridico ed economico, Paolo Cirio
(Italia, 1979) presenta il progetto Loophole for all (“Scorciatoia per
tutti”) che unisce hacking digitale e azione artistica. Giocando sulle
“scorciatoie” fiscali legalmente riconosciute dalla legislazione delle Isole
Cayman, Cirio ha creato una piattaforma online in cui mettere in vendita, al
costo di soli 99 centesimi, certificati di partecipazione a reali società
registrate in questo celebre paradiso fiscale, con un obiettivo: rendere l’evasione
fiscale legale e possibile a tutti, non solo a celebri hedge fund o imprese
multinazionali.
Adam Broomberg e Oliver Chanarin (Sud Africa, 1970; Regno Unito, 1971)
presentano un nuovo sviluppo del progetto Chicago, un’installazione
video e fotografica di un non-luogo, un territorio reale e irreale allo stesso
tempo come la finta cittadina araba Chicago, costruita nel deserto di Negev in
Palestina dall’esercito israeliano per poter creare simulazioni ed
esercitazioni di azioni di guerra e di controllo della popolazione araba.
Sulla scia di una riflessione sullo statuto
della fotografia come documento di territori contraddittori, si pongono anche
le opere in mostra di Jo Ractliffe (Sud Africa, 1961) e
The Cool Couple (Niccolò Benetton e Simone Santilli, Italia, 1986 e
1987). Il duo italiano presenta una nuova produzione che ha per soggetto un
territorio di confine come la Carnia in Friuli Venezia Giulia ed evento storico
poco noto e dimenticato da molti: la storia della presenza forzata della
comunità cosacca nel 1944-45. Fotografie odierne del paesaggio e materiali
d’archivio permetteranno un cortocircuito nella riflessione sulla
sovrapposizione di tradizioni, lingue, costumi e sulle tracce e le censure di
questa contaminazione. Nella serie fotografica in bianco e nero As Terras
do Fim do Mundo, Ractliffe propone invece una silenziosa e poetica
ricognizione sui luoghi che sono stati teatro della sanguinosa guerra civile in
Angola, durante la quale le lacerazioni nazionali si unirono a logiche
sovranazionali della guerra fredda, che portarono allo scontro tra l’esercito
sudafricano e i soldati delle Forze Armate Rivoluzionarie inviate da Cuba.
Altra riflessione sul ruolo dell’immagine
nel rapporto con un territorio segnato dalla guerra è quella di Richard
Mosse (Irlanda, 1980) che propone la videoinstallazione a sei canali The
Enclave, risultato del suo lungo lavoro nel Congo orientale e recentemente
presentata nel Padiglione irlandese della Biennale di Venezia. In un’atmosfera
di grande impatto, Mosse permette ai visitatori di porsi davanti a paesaggi di
straordinaria e straniante bellezza ma segnati duramente dalla guerra civile
che in oltre vent’anni ha causato più di cinque milioni di morti. Tramite una
particolare pellicola sviluppata a scopi militari negli anni ’40, il colore
verde di foreste e prati si trasforma in un rosa acceso. Soldati e devastazioni
diventano fluorescenti e stranianti elementi che insieme a una forte componente
sonora coinvolgono il visitatore in una forte esperienza emotiva.
Il catalogo bilingue (italiano/inglese),
che accompagna la mostra, è pubblicato da Mandragora e contiene i testi critici
dei curatori Walter Guadagnini (curatore indipendente) e Franziska Nori
(direttore CCC Strozzina) affiancati dai contributi di Ulrich Beck (Università
di Monaco di Baviera e London School of Economics) e Francesco Careri
(Università di Roma)».
Aggiungerei la rappresentazione, FuturisticaMente
reale, espressa in poesia ne Il vecchio e il bambino:
E il vecchio
diceva, guardando lontano:
“Immagina
questo coperto di grano,
immagina i frutti e
immagina i fiori
e pensa alle voci e
pensa ai colori
e in questa
pianura, fin dove si perde,
crescevano gli
alberi e tutto era verde,
cadeva la pioggia,
segnavano i soli
il ritmo dell’uomo
e delle stagioni...”
Questa sOCIETA’ quale futuro riserverà ai
propri Figli...
Il bimbo ristette,
lo sguardo era triste,
e gli occhi
guardavano cose mai viste
e poi disse al
vecchio con voce sognante:
“Mi piaccion le
fiabe, raccontane altre!”
Il territorio del mondo contemporaneo,
rappresenterà la fine... della Favola?
TERRITORI INSTABILI. Confini e identità
nell’arte contemporanea
Fino al 19 gennaio 2014
Centro di Cultura Contemporanea Strozzina
Palazzo Strozzi, Firenze
Artisti: Kader
Attia, Zanny Begg & Oliver Ressler, Adam Broomberg & Oliver Chanarin,
Paolo Cirio, The Cool Couple, Tadashi Kawamata, Sigalit Landau, Richard Mosse,
Paulo Nazareth, Jo Ractliffe
La mostra è organizzata dalla Fondazione
Palazzo Strozzi.
Informazioni: T.
055 2645155 / news@strozzina.org