venerdì 25 ottobre 2013

NaturalMente


Dal 26 ottobre 2013 al 9 febbraio 2014 si svolgerà a Verona, presso il palazzo della Gran Guardia, a pochi passi dall’Arena, la mostra, costituita da circa novanta opere,Verso Monet - Il Paesaggio dal Seicento al Novecento”. Tra queste molti capolavori di grandi artisti, dipinti di Poussine, Lorraine, Van Ruisdael, Van Goyen, Hobbema, Canaletto, Guardi, Bellotto, Monet, Renoir, Sisley, Pissarro, Caillebotte, Degas, Manet, Van Gogh, Gauguin e Cézanne, vere e proprie pietre miliari della storia dell’arte, provenienti da alcuni dei più importanti musei statunitensi. Hanno infatti prestato le loro “Opere d’Arte” istituzioni come il Museum of Fine Arts di Boston e il Columbus Museum of Art.
La mostra analizza per aree tematiche l’evoluzione del tema artistico del paesaggio attraverso i secoli e gli stili artistici, in particolare, “Verso Monet” a Verona illustrerà, attraverso un percorso tematico, il cambiamento di questo elemento pittorico, da sfondo funzionale alla narrazione di un quadro, a vero e proprio soggetto pittorico autonomo. 


 

La mostra “Verso Monet” sarà divisa in cinque sezioni:

Il Seicento. Il vero e il falso della natura - con gli inizi del passaggio, dal paesaggio come sfondo al paesaggio come tema. Alcune esperienze pittoriche nell’ultima parte del Quattrocento, e poi ovviamente nel Cinquecento, cominciano ad autorizzare ampiamente l’idea che la natura possa diventare elemento autonomo della descrizione.
Il Seicento però, soprattutto in talune sue modernissime espressioni, è il secolo nel quale la natura emerge non più come fondale unicamente scenografico, ma si impone come centro della visione. Per questo motivo, la mostra pone il suo punto d’avvio da qui, costruendo un rapporto tra il vero e il falso della natura. Rapporto che continuerà a essere valido sino alla conclusione dell’Ottocento, nella relazione tempestosa che si instaurerà tra gli impressionisti e i pittori del Salon ufficiale.
Ma nel XVII secolo questo rapporto tra vero e falso della natura vede da un lato le esperienze, monumentali e sotto il segno dell’Arcadia, di Poussin e Lorrain, straordinari artisti francesi che a lungo operano in Italia, e dall’altro quella stagione olandese sublime che aprirà alla modernità. Da Hobbema a van Ruisdael, da van Goyen a Seghers, sono pittori che anticipano la lunga stagione del realismo ottocentesco e poi del primo impressionismo. Ponendo la natura, con due secoli di anticipo, al centro della scena e dell’indagine dell’occhio fisico.

Il Settecento. L’età della veduta - con le opere dei grandi vedutisti veneziani che nobilitano il tema pittorico del paesaggio. Una quindicina di dipinti, alcuni anche di grande dimensione, illustrano una delle svolte maggiori che la pittura dedicata al vero della natura ricordi.
Per cui si è scelto di concentrare il capitolo riservato al Settecento su quel momento storico che è ovunque conosciuto come l’età della veduta.
E gli artisti veneziani sono al centro di questo percorso, e soprattutto, con la loro grazia e il loro grado di anticipazione del futuro, Canaletto, Bellotto e Guardi.
Molte di queste opere provengono da musei americani e quindi si tratta di prestiti normalmente poco accessibili per il pubblico italiano, che si troverà a scoprire meraviglie per la prima volta.
Il Bacino tra piazza San Marco e l’isola di San Giorgio molto spesso domina la scena, e specialmente in Canaletto. Con la sua nitidezza di visione, dovuta anche all’uso della camera ottica, apre a un mondo che l’occhio fino a quel momento pareva aver tenuto nascosto.
Canaletto spacca la linea della pittura e sulla sua scia si porranno, pur con accenti diversi, Bellotto e Guardi. Quest’ultimo anticipando quasi alcune soluzioni che saranno poi riprese nel secolo successivo.

Romanticismi e realismi - con l’inserimento in questo soggetto artistico di elementi psicologici propri dell’arte ottocentesca. Una sezione molto importante, perché si colloca in un punto di svolta ormai definitivo dell’intero percorso dedicato alla descrizione della natura. Raccogliendo gli esiti delle esperienze dei due secoli precedenti e proiettandosi verso la rottura definitiva ed epocale dell’impressionismo.
Ampio anche nel numero delle opere, una trentina, il capitolo occupa i decenni che vanno dall’apertura del secolo fino agli anni sessanta dell’Ottocento. Lasciando che in sequenza si mostrino prima le sublimi prove romantiche di Friedrich, Turner e Constable tra Germania e Inghilterra, e poi i diversi realismi sia in America che in Europa.
Uno strepitoso, e quasi impossibile, prestito dalla Kunsthalle di Amburgo mette Caspar David Friedrich nella posizione di colui che apre l’età romantica in pittura, dentro una luce che è mentale e della natura insieme, mentre tende al senso dell’infinito.
Turner e Constable poi modulano il sentimento romantico tra dispersione nel cosmo e invece concentrazione nel quotidiano mille volte percorso e indagato. E il senso del quotidiano, che Constable offre a Corot, segna il punto di passaggio, attraversando il canale della Manica, tra Inghilterra e Francia, nel punto di avvio della cosiddetta scuola di Barbizon. Che assieme a Corot vede in mostra anche gli altri due principali esponenti, Millet e Courbet. Ma in questa parte dedicata ai realismi, si inserisce uno dei motivi di novità dell’intera esposizione: il rapporto che è stato costruito tra le contemporanee esperienze dei pittori meravigliosi della Hudson River School in America – da Church a Bierstadt, da Kensett a Heade – e quelle di vari pittori europei non francesi.
Dalla Scandinavia di von Wright e Dahl fino all’est Europa di Lotz e Grigorescu, solo per fare alcuni nomi. Nel rapporto tra lo spazio sconfinato americano e quello europeo talvolta più domestico.

L’impressionismo e il paesaggio - con l’assolutizzazione del paesaggio come centro di ricerca artistica. Fino a che giungono i pittori impressionisti. A radicalizzare del tutto, e definitivamente, il cambio di passo nella visione, che i realisti avevano tratto dalle esperienze degli olandesi del Seicento e dei veneziani del Settecento. In Francia, a partire dalla metà degli anni sessanta del XIX secolo, accade uno di quei miracoli come poche altre volte si è visto nella storia della pittura. E il paesaggio, la sua descrizione, è il terreno, e il teatro, di questa inarrivabile novità. Attraverso venticinque opere sceltissime, sulla scena stanno artisti del calibro di Renoir e Pissarro, Degas e Sisley, Van Gogh e Gauguin, Cézanne e Caillebotte.
Insieme, a evidenziare come tutto sia cambiato in Francia, attorno a Parigi, in quegli anni. Dapprima, negli anni sessanta, per il contatto con i pittori della generazione precedente, soprattutto Corot e Courbet, e il loro lavoro nella foresta di Fontainebleau. Poi il pieno decennio impressionista, quegli anni settanta che vedono le prime, sofferte affermazioni dei pittori del gruppo, quando si aprono le esposizioni nuove dal 1874 nello studio di Nadar. E poi gli anni ottanta, il decennio più indagato nella mostra, poiché è quello della crisi proprio del paesaggio impressionista, dovuto a una sorta di rigetto, per alcuni, verso la pittura en-plein-air.
Da questo segno, che dischiude l’avvicinarsi del Novecento, e l’introspezione anche legata all’immagine della natura, nasceranno cose diverse. Ugualmente in Monet, protagonista assoluto dell’ultima sezione.

Monet e natura nuova – la nuova Idea di Natura, come arrivo di un grande percorso artistico. Una vera e propria mostra nella mostra, con i caratteri dell’eccezionalità. Il progetto espositivo, firmato da Marco Goldin, individua nella figura di Monet il punto di arrivo di questa grande storia dedicata alla natura dipinta. Monet che porta a compimento le lunghe stagioni della “bella pittura” e poi trasforma quella stessa pittura in esigenza della visione spirituale e interiore.
A cosa tende, infatti, quel suo lungo tempo conclusivo a Giverny? A cosa, se non alla trasformazione della natura vista nella natura interiore? In questo modo, anticipando mirabilmente alcune delle ricerche più alte e innovative dell’astrazione novecentesca.
Facendo ricorso addirittura a venticinque opere di Monet, in arrivo da musei sia americani che europei, la sezione traccia l’intera sua parabola artistica, a partire dai quadri che nascono sulla scia di Boudin sulla costa di Normandia, per giungere al decennio canonico dell’impressionismo, quello legato alla sua permanenza ad Argenteuil fino al 1878. Ma sono gli anni ottanta a essere particolarmente rappresentati, per segnare quello scatto verso la modernità nel descrivere il paesaggio. E poi, assieme al tempo finale di Giverny appunto, con le ninfee in primo piano, tutti quegli spostamenti che hanno fatto di Monet un viaggiatore incantato della pittura. Per cui, opere realizzate nelle sue lunghe peregrinazioni in Normandia, a Vétheuil lungo la Senna, sulla costa del Mediterraneo attorno ad Antibes, lungo la valle della Creuse, oppure davanti alla cattedrale di Rouen. O ancora a Londra e Venezia nei primi anni del Novecento. Un alfabeto che fa della natura un miracolo dipinto.


Per maggiori informazioni:
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