mercoledì 21 ottobre 2015

Pacifica_Mente


Dai ridondanti connotati anarchici, "Il bombarolo", si contraddistingue per il suo intenso carattere di “pace armata”, la lirica può essere considerata più che una canzone contro la guerra, l’inno contro una certa “pace”, una pace che anestetizza i sensi, che omologa a pensare per stereotipi e a incasellare in luoghi comuni, che diventano il linguaggio parlato e il sistema relazionale dei nostri giorni.




In “Storia di un impiegato” di De André e Bentivoglio, un mite trentenne conformista avverte un profondo disagio tra la sua vita e lo sTATO, tra un sistema di pOTERE che gli ha imposto un sistema di vita e la sua naturale, in quanto essere umano, vocazione alla libertà. Il disagio che lo trasformerà nel più convinto terrorista, il «trentenne disperato» ha capito che lo sTATO è un «Pinocchio fragile», per cui attaccabile con una bomba al tritolo, metodo non dissimile da quelli che legalmente usa il pOTERE («parente artigianale»), un pOTERE «sganciato e restituitoci/dai tuoi aeroplani» con le bombe. Perché allora non rispondere alle guerre, psicologiche e dinamitarde, del pOTERE dichiarando una propria guerra al tritolo? (io vengo a restituirti/un po' del tuo terrore/del tuo disordine/del tuo rumore). 
«Se non del tutto giusto/quasi niente sbagliato»… ma, forse, il terrorismo non è la risposta corretta, perché prospetta e sottende una volontà propria di potere, il seguito ci porterà a capire che non ci sono poteri buoni, il tritolo può essere ricondotto alla continua ricerca di Giustizia da cui non può prescindere il pensiero di Faber, una gIUSTIZIA che oggi spesso ferisce nell’orgoglio cadendo nel ridicolo che quotidianamente traspare dalle pagine dei giornali.
Una continua guerra tra il Bene e il male, tra la pOLITICA e la Gente, una guerra che nasce con il genere umano e con la bramosia di potere che logora non chi non ce l’ha ma bensì i propositi dei “poteri buoni”.
Una guerra che è insita nella “natura matrigna” del potere che trasforma i buoni propositi ed anche il cuore della Gente, allontanandolo dal “giusto” per perseguire le scorciatoie del momentaneo apparente potere, una pace che contiene un monito ben preciso per il pOTERE: nella vita ciò che semini raccogli, se semini odio e bombe non puoi pretendere di raccogliere il sacrificio della Gente per mantenere i privilegi di una pOLITICA senza onore ne gloria!


Il Bombarolo, Fabrizio De André

Chi va dicendo in giro
che odio il mio lavoro
non sa con quanto amore
mi dedico al tritolo,
è quasi indipendente
ancora poche ore
poi gli darò la voce
il detonatore.

Il mio Pinocchio fragile
parente artigianale
di ordigni costruiti
su scala industriale
di me non farà mai
un cavaliere del lavoro,
io son d'un'altra razza,
son bombarolo.

Nel scendere le scale
ci metto più attenzione,
sarebbe imperdonabile
giustiziarmi sul portone
proprio nel giorno in cui
la decisione è mia
sulla condanna a morte
o l'amnistia.

Per strada tante facce
non hanno un bel colore,
qui chi non terrorizza
si ammala di terrore,
c'è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo,
io son d'un altro avviso,
son bombarolo.

Intellettuali d'oggi
idioti di domani
ridatemi il cervello
che basta alle mie mani,
profeti molto acrobati
della rivoluzione
oggi farò da me
senza lezione.

Vi scoverò i nemici
per voi così distanti
e dopo averli uccisi
sarò fra i latitanti
ma finché li cerco io
i latitanti sono loro,
ho scelto un'altra scuola,
son bombarolo.

Potere troppe volte
delegato ad altre mani,
sganciato e restituitoci
dai tuoi aeroplani,
io vengo a restituirti
un po' del tuo terrore
del tuo disordine
del tuo rumore.

Così pensava forte
un trentenne disperato,
se non del tutto giusto
quasi niente sbagliato,
cercando il luogo idoneo
adatto al suo tritolo,
insomma il posto degno
d'un bombarolo.

C'è chi lo vide ridere
davanti al Parlamento
aspettando l'esplosione
che provasse il suo talento,
c'è chi lo vide piangere
un torrente di vocali
vedendo esplodere
un chiosco di giornali.

Ma ciò che lo ferì
profondamente nell'orgoglio
fu l'immagine di lei
che si sporgeva da ogni foglio
lontana dal ridicolo
in cui lo lasciò solo,
ma in prima pagina
col bombarolo.
(Testo di Fabrizio de André e Giuseppe Bentivoglio
Musica di Fabrizio de André e Nicola Piovani
Album: “Storia di un impiegato”, 1973)

Potremmo associare ad ogni strofa de “Il bombarolo” un’opera d’arte, ad esempio:
«Per strada tante facce
non hanno un bel colore,
qui chi non terrorizza
si ammala di terrore,
c'è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo,
io son d'un altro avviso,
son bombarolo».
 


L’urlo, o anche Il grido, è un celebre dipinto di Edvard Munch (titolo originale in norvegese: Skrik). Realizzato nel 1893 su cartone con olio, tempera e pastello, come per altre opere del pittore espressionista è stato dipinto in più versioni (in totale quattro).
In alcune composizioni poetiche l’interprete dell’espressionismo nietzschiano racconta l’origine del celeberrimo dipinto: una passeggiata con amici portò in evidenza il dolore atroce di ogni segmento di vita di fronte alla natura matrigna. E quel volto contorto che deforma il mondo con un suono deflagrante conferma la posizione dell’uomo senza Dio: un’immensa sofferenza che diventa grido di sconfitta al cospetto del nulla, del nulla che avvolge, che torce le forme, che comprime la psiche dell’uomo, trasformando il suo volto, comprimendo il teschio fino ad evidenziarlo drammaticamente sulla pelle. Munch cerca di frapporre tra il nulla e sè, le proprie mani, come se il silenzio immane di una natura matrigna penetrasse insopportabilmente negli orecchi.