Dai ridondanti connotati anarchici, "Il bombarolo", si contraddistingue per il suo intenso carattere di “pace armata”, la lirica può essere considerata più che una canzone contro la guerra, l’inno contro una certa “pace”, una pace che anestetizza i sensi, che omologa a pensare per stereotipi e a incasellare in luoghi comuni, che diventano il linguaggio parlato e il sistema relazionale dei nostri giorni.
In “Storia
di un impiegato” di De André e Bentivoglio, un mite trentenne conformista
avverte un profondo disagio tra la sua vita e lo sTATO, tra un sistema di
pOTERE che gli ha imposto un sistema di vita e la sua naturale, in quanto essere
umano, vocazione alla libertà. Il disagio che lo trasformerà nel più convinto
terrorista, il «trentenne disperato» ha capito che lo sTATO è un «Pinocchio fragile»,
per cui attaccabile con una bomba al tritolo, metodo non dissimile da quelli
che legalmente usa il pOTERE («parente artigianale»), un pOTERE «sganciato e restituitoci/dai
tuoi aeroplani» con le bombe. Perché allora non rispondere alle guerre,
psicologiche e dinamitarde, del pOTERE dichiarando una propria guerra al
tritolo? (io vengo a restituirti/un po' del tuo terrore/del tuo disordine/del
tuo rumore).
«Se non del
tutto giusto/quasi niente sbagliato»… ma, forse, il terrorismo non è la
risposta corretta, perché prospetta e sottende una volontà propria di potere, il
seguito ci porterà a capire che non ci sono poteri buoni, il tritolo può essere
ricondotto alla continua ricerca di Giustizia da cui non può prescindere il
pensiero di Faber, una gIUSTIZIA che oggi spesso ferisce nell’orgoglio cadendo
nel ridicolo che quotidianamente traspare dalle pagine dei giornali.
Una continua
guerra tra il Bene e il male, tra la pOLITICA e la Gente, una guerra che nasce
con il genere umano e con la bramosia di potere che logora non chi non ce l’ha
ma bensì i propositi dei “poteri buoni”.
Una guerra
che è insita nella “natura matrigna” del potere che trasforma i buoni propositi
ed anche il cuore della Gente, allontanandolo dal “giusto” per perseguire le
scorciatoie del momentaneo apparente potere, una pace che contiene un monito ben
preciso per il pOTERE: nella vita ciò che semini raccogli, se semini odio e
bombe non puoi pretendere di raccogliere il sacrificio della Gente per
mantenere i privilegi di una pOLITICA senza onore ne gloria!
Il Bombarolo, Fabrizio
De André
Chi va
dicendo in giro
che odio il
mio lavoro
non sa con
quanto amore
mi dedico al
tritolo,
è quasi
indipendente
ancora poche
ore
poi gli darò
la voce
il
detonatore.
Il mio
Pinocchio fragile
parente
artigianale
di ordigni
costruiti
su scala
industriale
di me non
farà mai
un cavaliere
del lavoro,
io son
d'un'altra razza,
son
bombarolo.
Nel scendere
le scale
ci metto più
attenzione,
sarebbe
imperdonabile
giustiziarmi
sul portone
proprio nel
giorno in cui
la decisione
è mia
sulla
condanna a morte
o
l'amnistia.
Per strada
tante facce
non hanno un
bel colore,
qui chi non
terrorizza
si ammala di
terrore,
c'è chi
aspetta la pioggia
per non
piangere da solo,
io son d'un
altro avviso,
son
bombarolo.
Intellettuali
d'oggi
idioti di
domani
ridatemi il
cervello
che basta
alle mie mani,
profeti
molto acrobati
della
rivoluzione
oggi farò da
me
senza
lezione.
Vi scoverò i
nemici
per voi così
distanti
e dopo
averli uccisi
sarò fra i
latitanti
ma finché li
cerco io
i latitanti
sono loro,
ho scelto
un'altra scuola,
son
bombarolo.
Potere
troppe volte
delegato ad
altre mani,
sganciato e
restituitoci
dai tuoi
aeroplani,
io vengo a
restituirti
un po' del
tuo terrore
del tuo
disordine
del tuo
rumore.
Così pensava
forte
un trentenne
disperato,
se non del
tutto giusto
quasi niente
sbagliato,
cercando il
luogo idoneo
adatto al
suo tritolo,
insomma il
posto degno
d'un
bombarolo.
C'è chi lo
vide ridere
davanti al
Parlamento
aspettando
l'esplosione
che provasse
il suo talento,
c'è chi lo
vide piangere
un torrente
di vocali
vedendo
esplodere
un chiosco
di giornali.
Ma ciò che
lo ferì
profondamente
nell'orgoglio
fu
l'immagine di lei
che si
sporgeva da ogni foglio
lontana dal
ridicolo
in cui lo
lasciò solo,
ma in prima
pagina
col
bombarolo.
(Testo di
Fabrizio de André e Giuseppe Bentivoglio
Musica di
Fabrizio de André e Nicola Piovani
Album: “Storia
di un impiegato”, 1973)
Potremmo associare
ad ogni strofa de “Il bombarolo” un’opera d’arte, ad esempio:
«Per strada
tante facce
non hanno un
bel colore,
qui chi non
terrorizza
si ammala di
terrore,
c'è chi
aspetta la pioggia
per non
piangere da solo,
io son d'un
altro avviso,
son
bombarolo».
L’urlo, o
anche Il grido, è un celebre dipinto di Edvard Munch (titolo originale in
norvegese: Skrik). Realizzato nel 1893 su cartone con olio, tempera e pastello,
come per altre opere del pittore espressionista è
stato dipinto in più versioni (in totale quattro).
In alcune
composizioni poetiche l’interprete dell’espressionismo nietzschiano racconta
l’origine del celeberrimo dipinto: una passeggiata con amici portò in evidenza
il dolore atroce di ogni segmento di vita di fronte alla natura matrigna. E
quel volto contorto che deforma il mondo con un suono deflagrante conferma la
posizione dell’uomo senza Dio: un’immensa sofferenza che diventa grido di
sconfitta al cospetto del nulla, del nulla che avvolge, che torce le forme, che
comprime la psiche dell’uomo, trasformando il suo volto, comprimendo il teschio
fino ad evidenziarlo drammaticamente sulla pelle. Munch cerca di frapporre tra il
nulla e sè, le proprie mani, come se il silenzio immane di una natura matrigna
penetrasse insopportabilmente negli orecchi.