«Ho percorso questo lungo
cammino verso la libertà sforzandomi di non esitare, e ho fatto alcuni passi
falsi lungo la via. Ma ho scoperto che dopo aver scalato una montagna ce ne
sono sempre altre da scalare. Adesso mi sono fermato un istante per riposare,
per volgere lo sguardo allo splendido panorama che mi circonda, per guardare la
strada che ho percorso. Ma posso riposare solo qualche attimo, perché assieme
alla libertà vengono le responsabilità, e io non oso trattenermi ancora: il mio
lungo cammino non è ancora alla fine» (Nelson Mandela, “Lungo cammino
verso la libertà”).
Nelson Rolihlahla Mandela, Premio
Nobel per la Pace nel 1993, a seguito delle prime elezioni multirazziali
eletto, nel 1994, Presidente del Sudafrica, sarà ricordato per il ruolo
determinante che ebbe nell’abolizione dell’apartheid all’inizio degli
anni Novanta.
“Nelson” il nome che gli
fu assegnato quando iniziò a frequentare collegio britannico di Healdtown, “Mandela”
il cognome assunto dal nonno, ma è il nome che gli fu attribuito alla nascita a
rappresentarne il carattere “Rolihlahla”, letteralmente “colui che
porta guai”, appartenente alla famiglia reale dei Thembu, una tribù di
etnia Xhosa, all’interno del clan era Madiba, ed era con questo
soprannome che era conosciuto da tutti, Madiba è un titolo onorifico adottato
dai membri anziani della sua famiglia, divenuto in Sudafrica sinonimo di Nelson
Mandela.
Non servono altre parole per
ricordare Madiba, se non quelle approrpiate con cui neoletto Presidente, spinse
la squadra di rugby del Sud Africa formata esclusivamente da bianchi, alla
vittoria del Campionato del Mondo del 1995, Mandela chiese al capitano Francois
Pienaar di guidare la squadra alla vittoria, citando una poesia che era stata
la sua fonte di ispirazione durante gli anni trascorsi in prigione, “Invictus”,
di William Ernest Henley, il titolo significa “indomabile”. Chiediamo al
Tata (Padre) di guidarci sempre lungo il cammino della Libertà.
Invictus
«Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come il
pozzo che va da un polo all’altro,
ringrazio
tutti gli dei per la mia anima indomabile.
Nella morsa
delle circostanze,
non ho
indietreggiato, né ho pianto.
Sotto i colpi d’ascia della
sorte,
il mio capo sanguina, ma non
si china.
Più in là,
questo luogo di rabbia e lacrime
incombe, ma
l’orrore dell’ombra,
e la
minaccia degli anni
non mi
trova, e non mi troverà, spaventato.
Non importa
quanto sia stretta la porta,
quanto piena
di castighi la pergamena,
Io sono il
padrone del mio destino:
Io sono il
capitano della mia anima».
William Ernest Henley